(massima n. 1)
Con riguardo ai dipendenti con la qualifica di dirigenti, come tali sottratti alle norme limitative dei licenziamenti individuali poste dalle L. 15 luglio 1966, n. 604 e 20 maggio 1970, n. 300, ed in relazione alla clausola del contratto collettivo, che devolva ad un collegio di arbitrato e conciliazione il riscontro della giustificazione o meno del licenziamento, nonché il riconoscimento, in difetto di giustificazione, di un'indennità in favore del dipendente licenziato (nella specie, artt. 17 e 20 del C.C.N.L. del 4 aprile 1975 per i dirigenti di aziende industriali), l'indagine diretta a stabilire la ricorrenza di un arbitrato, rituale od irrituale, soggetto alle specifiche disposizioni degli artt. 4 e 5 della L. 11 agosto 1973, n. 533, ovvero di un arbitraggio, esorbitante dall'applicazione di dette ultime norme, deve essere condotta dal giudice del merito in base al principio secondo cui l'arbitrato (rituale od irrituale) si traduce in un intervento su controversia fra opposti diritti, che si assumono esistenti per effetto di un rapporto già costituito, mentre l'arbitraggio viene a completare una fattispecie negoziale ancora non perfezionatasi, e, quindi, a comporre un mero conflitto di interessi. All'indicato fine, pertanto, il medesimo giudice, avvalendosi degli ordinari criteri di ermeneutica negoziale, deve stabilire se la clausola contrattuale contempli o meno il giudizio arbitrale sulla premessa della delimitazione pattizia dei casi di legittimità del recesso del datore di lavoro (eventualmente anche utilizzando espressioni analoghe a quelle usate in proposito dalla menzionata legge del 1966), atteso che, ove ciò si verifichi, la pronuncia degli arbitri assume i predetti connotati di un intervento su diritti in conflitto.