(massima n. 1)
In materia esercizio di attività pericolose ed esposizione dei lavoratori alle polveri di amianto, la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e d'indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito che – riconosciuto il nesso di causalità tra affezione ed esposizione alle polveri da asbesto - aveva ritenuto la responsabilità del datore di lavoro sul presupposto che ad esso, Autorità portuale di Venezia, all’epoca di svolgimento del rapporto di lavoro - anni dal 1968 al 2000 - dovesse essere ben nota la pericolosità delle fibre di amianto, materiale il cui uso è sottoposto a particolari cautele fin dal principio del secolo scorso, indipendentemente dal grado di concentrazione di fibre in relazione a periodi temporali di esposizione per attività lavorativa).