(massima n. 1)
La sopravvenuta infermità permanente del lavoratore non costituisce una impossibilità della prestazione lavorativa integrante giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro qualora il dipendente possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche inferiori purché, da un lato,la diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore nel rispetto dei diritti al lavoro e alla salute, e, dall’altro, l’adeguamento sia sorretto dal consenso e dall’interesse dello stesso lavoratore. Ne consegue che, ove il dipendente abbia manifestato, pur senza forme rituali, il consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore ha l’onere di giustificare il recesso, fornendo la prova delle attività svolte in azienda e della relativa inidoneità fisica del lavoratore o dell’impossibilità di assegnarlo ad esse per ragioni tecnico-produttive, considerato che egli non è tenuto ad adottare particolari misure, che vadano oltre il dovere di sicurezza imposto dalla legge, al fine di porsi in condizione di cooperare all'accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità.