(massima n. 1)
In tema di reati fallimentari, non sussiste violazione del divieto di “reformatio in peius” qualora, avendo il giudice di primo grado ritenuto l'equivalenza tra le attenuanti generiche e l'aggravante della pluralità dei fatti prevista dall'art. 219, comma 2, n. 1, L.F., il giudice d'appello, escludendo (sia pur erroneamente) che la pluralità dei fatti costituisca circostanza aggravante ma considerandola come suscettibile soltanto di dar luogo a “continuazione interna”, abbia operato un aumento di pena a tale titolo sulla pena base, dopo averla determinata in misura ridotta rispetto a quella stabilita dal giudice di primo grado, per effetto delle attenuanti generiche, ritenute non più bilanciate dall'aggravante, sì da pervenire comunque ad un risultato complessivamente più favorevole per l'imputato (nella specie costituito dal fatto che la pena stabilita dal giudice di primo grado in anni tre di reclusione era stata rideterminata dalla corte d'appello nella misura complessiva di anni due e giorni cinque di reclusione, della quale i giorni cinque di reclusione costituivano l'aumento per la ritenuta continuazione interna).