(massima n. 1)
In tema di attendibilità intrinseca della chiamata in correità, il requisito del disinteresse costituisce uno solo dei criteri con i quali si misura la affidabilità della chiamata, di talché, come la sua presenza non può portare automaticamente a ritenere la stessa attendibile, così la sua assenza non conduce necessariamente ad escluderla. Infatti, la presenza di un interesse nel chiamante, alimentando il sospetto che le sue dichiarazioni ne risultino influenzate, deve indurre il giudice a usare una maggiore cautela, accertando, da un lato, se e quanto quell'interesse abbia inciso sulle dichiarazioni e, dall'altro, applicando con il massimo scrupolo gli altri parametri di valutazione offerti dalla esperienza e dalla logica. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto non illogica la valutazione dei giudici di merito circa il valore “neutro” dell'interesse premiale che poteva avere determinato la scelta di collaborazione del chiamante in correità, sulla base della considerazione che, seppure tale interesse poteva costituire motivo di dubbio circa l'attendibilità della chiamata, per altro verso esso poteva essere visto come garanzia di veridicità, posto che l'accertamento della eventuale falsità delle dichiarazioni avrebbe determinato la revoca dei benefici conseguiti alla collaborazione e quindi vanificato il risultato pratico che aveva stimolato tale scelta).