(massima n. 1)
In materia di esecuzione di pene detentive, nel caso di condanna per un reato associativo contestato senza l'indicazione della data di cessazione della condotta criminosa, l'esclusione del computo del periodo di pena espiata inutilmente per altro reato non deve prescindere, ove la sentenza di condanna di primo grado per il reato associativo sia successiva al periodo di detenzione subito in relazione all'altro reato, dalla verifica che la condotta permanente sia effettivamente continuata sino alla data di pronuncia della sentenza, non potendosi far derivare in via presuntiva detta prova dalla regola giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di contestazione in modo "aperto" del fatto associativo, la penale responsabilità può essere affermata anche con riferimento al periodo successivo alla data di accertamento e che il momento consumativo coincide con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado. (Fattispecie in cui, dopo due condanne per il delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen., i due fatti di reato erano stati unificati per la continuazione, con la conseguenza che per il primo risultava espiata una pena di entità superiore a quella rideterminata a titolo di aumento ex art. 81 cod. pen., e che occorreva perciò valutare se la sanzione scontata in sovrappiù potesse essere computata ai fini dell'esatta determinazione di quella da espiare per il secondo delitto).