(massima n. 1)
L'estromissione di un lavoratore dall'organizzazione aziendale per scadenza di un termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro non è da equiparare al licenziamento ingiustificato e non configura una fattispecie di recesso, e l'azione del lavoratore volta a far valere la continuità del rapporto ha natura di azione di mero accertamento dell'effettiva situazione giuridica derivante dalla nullità del termine non soggetta ad alcuna decadenza, mentre, in riferimento all'azione volta a far valere i diritti patrimoniali consequenziali all'accertamento della permanenza in vita del rapporto, il lavoratore può ottenere soltanto il risarcimento del danno subito a causa della impossibilità della prestazione cagionata dal rifiuto ingiustificato del datore di lavoro, e a tale scopo deve attivarsi per offrire l'esecuzione della propria prestazione lavorativa, costituendo in mora il datore di lavoro ex art. 1217 c.c.