(massima n. 1)
In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 e 393 c.p.), l'effettiva azionabilità della pretesa in sede giurisdizionale e la possibilità di realizzarla in virtù di una pronuncia giudiziale non costituiscono presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva — purché non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l'opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse l'esplicazione della violenza o il ricorso alla minaccia — dell'esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell'azione e quindi dall'esito eventuale della stessa. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto integrare il tentativo del delitto di ragion fattasi — e non di rapina — la condotta di un soggetto che aveva cercato di reimpossessarsi con violenza di una somma di denaro poco prima consegnata alla persona offesa come compenso per una prestazione sessuale poi non ottenuta, e ciò ancorché la pretesa di restituzione non corrispondesse ad un diritto azionabile, stante l'illiceità della causa del contratto su cui si fondava).