(massima n. 1)
Il concetto di attentato alla vita ed alla incolumità della persona di cui all'art. 280 c.p., introdotto col d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, prescinde dalla verificazione dell'evento, tanto è vero che nella ipotesi in cui si realizzino morte o lesioni queste ne costituiscono circostanze aggravanti. Tale concetto, poi, in sé stesso si distingue dal tentativo di reato poiché prescinde da specifica considerazione degli atti meramente preparatori in quanto essi - purché idonei ed univoci - già fanno parte della condotta criminosa de qua. Il termine attentato va inteso nel significato peculiare (distinto ed autonomo rispetto a quello di «tentativo») di una condotta coincidente con l'intrapreso attacco contro il bene della vita e dell'integrità umana, nel caso di cui all'art. 280 c.p. sorretta dal dolo specifico di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico. Trattasi di condotta che pone in essere un reato di pericolo attraverso una complessità di atti predisposti al fine, sicché il risultato è la conseguenza di una più o meno lunga serie di concatenate azioni umane, ognuna delle quali, se suffragata dall'indispensabile elemento soggettivo, concorre alla realizzazione della condotta tipica di attentato, pur se trattasi di un anello iniziale, sempreché l'azione nel suo complesso risulti idonea, giusta i principi generali sanciti nell'art. 49 c.p., da valutare diversamente rispetto ai reati di danno appunto perché si tratta di reato di pericolo e quindi tenendo conto - ai fini della idoneità - anche del concorso di fattori eventuali, atteso il fine della norma, mirata a prevenire non solo il danno, bensì l'insorgenza di una semplice situazione di pericolo.