(massima n. 1)
Nel rito del lavoro la disciplina della fase introduttiva del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, sicché non solo non è consentita la proposizione di alcuna domanda nuova, ma non è permessa neanche la formulazione di una emendatio (quale, nella specie, quella relativa alla domanda di pagamento dei canoni scaduti in corso di causa avanzata dopo la conversione del rito disposta ai sensi dell'art. 667 c.p.c., una volta scaduti, però, i termini utili fissati con l'ordinanza di cui all'art. 426 dello stesso codice), se non nelle forme e nei termini previsti, come si desume dall'art. 420, comma primo, c.p.c., secondo il quale le parti possono modificare le domande solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice. Deve considerarsi, pertanto, inammissibile qualsiasi modificazione della domanda che non sia stata operata — con riferimento al giudizio locatizio a cognizione piena conseguente al superamento della fase speciale del procedimento per convalida — ai sensi dell'art. 426 c.p.c., attraverso l'integrazione dell'atto introduttivo, nel termine perentorio fissato dal giudice, e che non sia stata autorizzata a norma del citato art. 420 c.p.c., all'udienza di discussione. Tale inammissibilità — al pari, attesa la medesima ratio, di quella conseguente alla decadenza per inosservanza dell'onere imposto al ricorrente dall'art. 414, n. 3, c.p.c., relativo alla determinazione dell'oggetto della domanda, e dell'onere accollato al convenuto dall'art. 416 dello stesso codice, con riferimento alla proposizione delle domande riconvenzionali — non è sanata dall'accettazione del contraddittorio ed è rilevabile d'ufficio, con la possibilità della sua deduzione per la prima volta anche in sede di legittimità.