(massima n. 2)
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, spetta al giudice dell'esecuzione verificare se il risultato indicato dal creditore procedente nel precetto corrisponda a quello prescritto nel titolo esecutivo; a tal fine, il giudice interpreta il titolo e ne detta le modalità di esecuzione, determinando quali siano le opere da realizzare coattivamente, poiché la parte esecutata, che avrebbe dovuto eseguirle spontaneamente, è invece rimasta inadempiente. Se, nel compiere tale attività, il giudice dell'esecuzione abbia disposto il compimento di opere contrastanti con il titolo esecutivo, ovvero abbia risolto questioni sorte tra le parti circa la rispondenza delle pretese esecutive al contenuto del titolo, o abbia dichiarata la conformità (o non) al titolo delle opere già eseguite spontaneamente dall'obbligato, oppure abbia affrontato una controversia insorta tra le parti sulla portata sostanziale dello stesso titolo esecutivo, il provvedimento perde natura esecutiva per assumere quella di una statuizione cognitiva, e perciò non si presta più ad essere impugnato nei modi propri degli atti esecutivi. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato per vizio di motivazione l'impugnata sentenza di accoglimento di un'opposizione all'esecuzione, ritenendo sussistente un giudicato esterno derivante da precedente provvedimento del giudice dell'esecuzione, il quale, dpo aver nominato un consulente tecnico d'ufficio per l'individuazione degli spazi di parcheggio da assegnare ai singoli condomini, si era altresì pronunciato sulle questioni insorte in ordine alla conformità al titolo delle opere presupposte dai quesiti dettati al consulente, così decidendo in merito all'individuazione del preciso contenuto del diritto da riconoscersi ai creditori procedenti, nonché alla portata dell'obbligo del soggetto esecutato e, in definitiva, risolvendo la medesima questione poi oggetto dell'opposizione all'esecuzione).