(massima n. 2)
Qualora nel corso dell'esecuzione immobiliare, dopo che sia stato emesso il decreto di trasferimento e l'assegnatario abbia intimato precetto di rilascio dell'immobile sulla base di detto titolo esecutivo (art. 586, terzo comma, c.p.c.), il giudice dell'esecuzione, a seguito di opposizione agli atti esecutivi, abbia disposto (art. 618, primo comma, c.p.c.) che il decreto di trasferimento non possa essere eseguito sino all'udienza fissata per la comparizione delle parti e poi, in detta sede, abbia revocato il provvedimento reso inaudita altera parte con ordinanza non pronunziata in udienza, il termine di cui all'art. 481, primo comma, c.p.c., rimasto sospeso, riprende a decorrere non dalla pubblicazione dell'ordinanza, ma dalla sua comunicazione, che segna il momento in cui la parte ha legale conoscenza dell'ordinanza (art. 134, secondo comma, c.p.c.) ed è posta nelle condizioni di proseguire la propria attività. A tale conclusione si deve pervenire non tanto sulla scorta dell'art. 627 c.p.c., nella parte in cui fa riferimento alla comunicazione della sentenza non passata in giudicato, come al momento in cui il termine riprende a decorrere, quanto dell'esigenza che dell'art. 481, secondo comma, c.p.c., sia fatta un'applicazione costituzionalmente orientata, a garanzia del diritto di difesa, tenuto conto delle sentenze della Corte costituzionale 15 dicembre 1967 n. 139 e 6 luglio 1971 n. 159, oltre che, in particolare, della sentenza dello stesso giudice delle leggi 4 marzo 1970 n. 34, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 297 c.p.c., nella parte in cui dispone che il termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza del processo di cognizione sospeso decorre dalla cessazione della causa di sospensione, anziché dalla conoscenza che ne hanno le parti del processo sospeso.