(massima n. 1)
Il tribunale investito di una domanda di liquidazione coatta amministrativa (al pari del tribunale fallimentare) non è vincolato alle deduzioni ed osservazioni — eventualmente dubitative — del soggetto richiedente, essendo chiamato ad accertare la esistenza dei presupposti per la relativa dichiarazione attraverso l'esame di ogni circostanza emergente dagli atti della procedura (giustificandosi tale potere inquisitorio con l'interesse pubblico che domina ogni vicenda concorsuale), e senza che le peculiarità della liquidazione coatta amministrativa (ove, semmai, il momento pubblicistico risulta vieppiù accentuato) possano escludere o attenuare tale potere, ché anzi la limitata legittimazione attiva per essa prevista, rispetto alla ben più ampia legittimazione di cui all'art. 6 della legge fallimentare, sottolinea proprio il carattere spiccatamente pubblicistico dell'istituto, mentre l'assenza di ogni discrezionalità sia del commissario che del P.M. nel promuovere l'accertamento — agendo entrambi in osservanza di norme imperative e rispondendo personalmente in caso di omissione — esclude ogni collegamento tra disponibilità del diritto e disponibilità della domanda posto a base del principio dispositivo del processo. Va, pertanto, respinta la doglianza di ultrapetizione mossa alla declaratoria dello stato di insolvenza di una società fiduciaria operata dal giudice di merito nonostante la proposizione della relativa domanda in termini dubitativi da parte del commissario incaricato.