(massima n. 1)
Allorché il sequestro sia stato disposto su beni privi ormai di rilevanza probatoria, come nel caso di somme depositate presso un'azienda di credito unicamente in relazione alla loro natura di corpo del reato, in vista della possibile confisca di esse, l'interesse della giustizia ad escludere la disponibilità dei beni da parte del terzo è correlato all'assenza di un titolo definitivamente acquisito in buona fede da quest'ultimo sui beni stessi, che gli consenta di evitare le conseguenze della misura di sicurezza patrimoniale prevista dall'art. 240, comma 1, c.p. Ed invero, la finalità della confisca non obbligatoria prevista da tale disposizione, alla quale è prodromico il sequestro del corpo del reato disposto a fini non probatori, è quella di sottrarre al colpevole la disponibilità di cose che, se lasciate in suo possesso, possano costituire aiuto concreto o stimolo psicologico a commettere altri reati. In questa prospettiva, la buona fede del terzo accipiente i beni può essere in contrasto con il sequestro disposto a norma dell'art. 253 c.p.p., perché i beni stessi possono aver ormai perso, in relazione al titolo della legittima detenzione accertato, il nesso che li collegava all'indagato e la possibilità di soggiacere a confisca. (Fattispecie in cui era stata accreditata su conto corrente intestato a società con sede in America, acceso presso banca italiana, una somma pari al corrispettivo di fornitura di merce eseguita da detta società in favore di acquirente colombiano, in aggiunta ad altre somme provenienti da traffici illeciti, versate da cosiddetto «agente provocatore» ritualmente autorizzato. In relazione ad essa, la Suprema Corte ha censurato il ragionamento del giudice di merito, secondo il quale la documentazione comprovante l'effettività dell'operazione commerciale era inidonea a smentire il suo fine di copertura di un'operazione di riciclaggio di danaro «sporco», affermando che la legittimità del sequestro della somma, formalmente versata a titolo di pagamento della fornitura, andava correlata alla permanenza, in capo alla società fornitrice, del diritto a pretendere il pagamento dall'acquirente, in modo da poter essere garantita dal mancato conseguimento del corrispettivo per fatti ad essa non addebitabili, in conformità del principio stabilito nell'art. 2036 c.c., per il quale, in tema di indebito soggettivo, è ripetibile quanto sia stato pagato da un terzo al creditore, sempre che lo stesso non si sia privato in buona fede del titolo o delle garanzie del credito).