(massima n. 1)
L'integrazione ex officio della prova testimoniale ai sensi dell'art. 257, primo comma, c.p.c. — norma applicabile anche nel rito del lavoro in quanto coerente con l'accentuazione, propria di tale rito, della disponibilità della prova da parte del giudice, nonché compatibile col sistema di preclusioni e decadenze disposto dagli artt. 414, 416 e 437 c.p.c. — costituisce una facoltà discrezionale che il giudice può esercitare quando ritenga che, dall'escussione di altre persone, non indicate dalle parti, ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possa trarre elementi per la formazione del proprio convincimento. Ne consegue che la chiamata dei testimoni nel caso che ad essi altri testi si siano riferiti per la conoscenza dei fatti, costituendo esercizio di una facoltà siffatta, che presuppone un apprezzamento di merito sul coacervo delle risultanze istruttorie, è incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.