(massima n. 1)
Qualora l'assegno di divorzio sia stato fissato, con sentenza passata in giudicato, non in una somma da corrispondersi in unica soluzione, ma bensì in una somma periodica, a carico direttamente del coniuge obbligato, la sopravvenienza del fallimento di questo ultimo comporta che al coniuge beneficiario, salva restando la possibilità di richiedere il sussidio alimentare di cui all'art. 47 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non è consentito di far valere, nei confronti della massa, le rate posteriori alla dichiarazione del fallimento stesso, tenuto conto dell'inapplicabilità del sistema di capitalizzazione contemplato dall'art. 60 del citato decreto, il quale si riferisce ai crediti certi ed insuscettibili di variazioni nel tempo, e non può quindi operare per il credito in questione, sempre modificabile (quali siano stati i criteri seguiti per la sua attribuzione) in relazione alla diminuzione ed al venir meno delle risorse del debitore, e che inoltre, anche limitatamente alle rate maturate nel corso della procedura concorsuale, la suddetta insinuazione al passivo trova ostacolo tanto nel fatto che le rate stesse configurano prestazioni autonome, venute ad esistenza dopo il fallimento, quanto nella facoltà degli organi della procedura di opporre al coniuge creditore l'intervenuta modifica della situazione patrimoniale del coniuge obbligato.