(massima n. 1)
Il principio, secondo cui, anche al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 138, secondo comma, c.p.c., il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale recettizio di ricevere lo stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti, ha un ambito di validità determinato dal concorrente operare del principio secondo cui non esiste, in termini generali ed incondizionati, l'obbligo, o l'onere, del soggetto giuridico di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte da parte di chicchessia e in qualunque situazione. Infatti, al di fuori del campo delle comunicazioni normativamente disciplinate, quali quelle mediante notificazione o mediante i servizi postali, una soggezione in tal senso del destinatario non esiste in termini generali, ma può dipendere dalle situazioni o dai rapporti giuridici cui la comunicazione si collega. In particolare, nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima l'obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale egli è sottoposto (così come non può escludersi un obbligo di ascolto, e quindi anche di ricevere comunicazioni, da parte dei superiori del lavoratore), ma un obbligo analogo non è configurabile, in genere, al di fuori dell'orario e del posto di lavoro e, in particolare, in un luogo pubblico. (Fattispecie relativa al tentativo di consegna di una lettera — in ipotesi contenente la comunicazione di licenziamento —, compiuto, da parte del fattorino della datrice di lavoro, sulla pubblica strada nei pressi dell'abitazione della lavoratrice; la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva ritenuto legittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice).