(massima n. 2)
Sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di neminem laedere espresso dall'art. 2043 c.c. (la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale ), sia il più specifico obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'art. 2087 c.c. ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro (la cui violazione determina l'insorgenza di una responsabilità contrattuale ). Conseguentemente, il danno biologico inteso come danno all'integrità psico-fisica della persona in sé considerata, a prescindere da ogni possibile rilevanza o conseguenza patrimoniale della lesione può in astratto conseguire sia all'una che all'altra responsabilità. Qualora la responsabilità fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell'illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore ) non deriva affatto che si versi in fattispecie di responsabilità oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità all'espletamento della prestazione lavorativa ), ma occorre pur sempre l'elemento della colpa ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza. La necessità della colpa che accomuna la responsabilità contrattuale a quella aquiliana va poi coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall'art. 1218 c.c. (diverso da quello di cui all'art. 2043 c.c. ), cosicché grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di protezione, mentre il lavoratore deve provare sia la lesione all'integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l'espletamento della prestazione lavorativa.