(massima n. 1)
Il reato di ricorso abusivo al credito, previsto dall'art. 218 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) si distingue dal reato di truffa previsto dall'art. 640 c.p., perché per la sua sussistenza non è richiesto né il fine specifico dell'ingiusto profitto con altrui danno (eventuale), né l'uso di artifici o raggiri, non potendo considerarsi artificio o raggiro la semplice dissimulazione dello stato d'insolvenza. (Nella fattispecie questa corte ha ritenuto sussistere il reato di truffa perché l'imputato aveva fatto ricorso al credito non solo dissimulando il proprio dissesto, attraverso l'occultamento delle sue reali condizioni economiche fornendo una reticente e inesatta rappresentazione di essa, ma costituendo abilmente una realtà del tutto diversa, attraverso una imponente attività di frode che andava dalla falsificazione di documenti e sigilli al giro degli assegni privi di copertura, con i quali indusse in errore gli istituti di credito, procurando a sé l'ingiusto profitto ed agli istituti il danno di parecchi miliardi di lire).