(massima n. 1)
La perseguibilità dei reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi all'estero è prevista negli articoli 13 e 231 c.p.m., secondo cui per tali reati, ove commessi in danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano o di uno Stato alleato o di un cittadino di questo, non esistono limiti territoriali e le relative norme si applicano anche ai militari stranieri. Ne consegue che al delitto di cui agli artt. 13 e 185 commi 1 e 2 c.p.m. guerra (concorso in violenza come omicidio aggravato e continuato in danno di cittadini italiani) non è applicabile la previsione dell'art. 8 c.p. e, di conseguenza, tale delitto non può essere ricondotto alla categoria dei delitti politici, ex art. 8, comma 3, c.p.. In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che non sia applicabile l'indulto, di cui all'art. 2 D.P.R. n . 922 del 1953 — previsto per i reati politici e connessi nonché «per i reati inerenti a fatti bellici commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate» (e non agli appartenenti alle Forze armate, cfr. sent. Corte cost. n. 298 del 2000) — nei confronti di un ex ufficiale delle SS., condannato per l'eccidio delle Fosse Ardeatine.