(massima n. 1)
Il procedimento arbitrale iniziato dopo l'entrata in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 25 è soggetto al disposto dell'art. 819 bis c.p.c., alla stregua del quale la «competenza» degli arbitri (termine adottato dal legislatore in senso atecnico, per designare il potere di giudicare attribuito agli arbitri dall'apposita convenzione) non è esclusa dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente dinanzi al giudice; tale regola — come si desume, a fortiori dall'art. 27 della legge n. 25 del 1994, che esclude dall'ambito applicativo dell'art. 819 bis c.p.c. solo i procedimenti arbitrali ormai esauriti — si applica anche quando la causa pendente dinanzi al giudice ordinario sia stata promossa prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 25 del 1994, allorché operava l'opposta regola della vis attractiva del giudizio ordinario rispetto al procedimento arbitrale, essendo d'altra parte da escludere che l'art. 5 c.p.c. possa essere in tal caso utilmente richiamato per configurare una cristallizzazione di detta vis attractiva atteso che il citato art. 5 disciplina il momento determinante della (giurisdizione e della) competenza, quest'ultima intesa in senso proprio come complesso di criteri attinenti alla ripartizione tra i vari giudici della funzione giurisdizione, e per ciò non spiega effetto là dove, come nella specie, rilevi la (diversa) questione (di merito) concernente la potestas iudicandi degli arbitri, la cui cognizione ha fonte pattizia ed è radicata nell'autonomia privata.