(massima n. 1)
Gli arbitri, autorizzati a pronunciare secondo equità ai sensi dell'art. 822 c.p.c., ben possono decidere secondo diritto allorché essi ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che sia per essi necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che, potendosi considerare presente in via generale, può desumersi anche implicitamente. L'esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso nell'arbitrato rituale può configurarsi quando gli arbitri neghino a priori l'esercizio di poteri equitativi, pur se conferiti, o se, pur riscontrando ed evidenziando una difformità tra il giudizio di equità e quello di diritto, pronuncino poi secondo diritto.Ove gli arbitri siano autorizzati a pronunciare secondo equità, non può trovare ingresso come motivo di impugnazione del lodo l'error in iudicando. (Nella specie il ricorrente, pur affermando di avere impugnato il lodo assumendo il superamento dei limiti del compromesso, in realtà si era doluto della violazione del principio di diritto che vieta l'ingiustificato arricchimento e di quello che impone di comportarsi, nell'esecuzione del contratto, secondo correttezza e buona fede).