(massima n. 1)
Allorché si debba applicare una misura di sicurezza perché si è in presenza di un «quasi reato» (indicandosi con tale espressione le ipotesi contemplate negli artt. 49 e 115 c.p., rispettivamente reato impossibile ed istigazione a commettere un delitto non accolta, ovvero istigazione accolta o accordo per commettere un delitto quando questo non sia commesso), essendo necessario accertare la responsabilità del prevenuto in ordine al fatto contestato e la sua pericolosità sociale, il relativo procedimento deve concludersi con l'emanazione di una sentenza (art. 205 c.p.), emessa a seguito di contraddittorio fra le parti ed assistita dagli ordinari mezzi di impugnazione. Pertanto, in simili ipotesi, il pubblico ministero è tenuto ad avviare l'azione penale chiedendo al giudice la fissazione dell'udienza preliminare, in modo da pervenire, a conclusione del procedimento, alla pronuncia di una sentenza la quale, nei casi di commissione di fatti costituenti «quasi-reato», non può non essere che di non luogo a procedere perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato, ma che consente, essendo stata emessa a seguito di procedimento con pienezza di contraddittorio, di applicare, in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 229, n. 2, c.p., la misura di sicurezza prevista dalla legge. (Nella circostanza la Corte ha altresì precisato che contro detta sentenza è ammessa impugnazione da parte dell'imputato ex art. 428 c.p.p., e che il relativo appello ai sensi degli artt. 579, comma 2, e 680, comma 2, c.p.p., è deciso dal tribunale di sorveglianza).