(massima n. 1)
In tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; ne consegue che tale volontà può essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio. (Nella fattispecie, il ricorrente, imputato di furto — reato che, per effetto dell'art. 12 della legge 25 giugno 1999 intervenuta dopo la sentenza di primo grado, è divenuto perseguibile a querela — aveva dedotto che erroneamente il giudice di secondo grado aveva opinato che non occorresse dare alla persona offesa l'informazione prevista dall'art. 19 comma II della predetta legge, ritenendo che la partecipazione della stessa, costituitasi parte civile, al giudizio di appello dimostrava la persistenza della volontà di punizione dell'autore del fatto. La Corte, enunziando il principio di cui in massima, ha rigettato il ricorso).