(massima n. 2)
L'interpretazione data dalla Corte costituzionale con la sentenza 232 del 1998 (che ha chiarito che il termine di cinque giorni, entro il quale gli atti devono pervenire al giudice del riesame, decorre dal momento di presentazione della richiesta al tribunale e non da quello in cui l'autorità procedente riceve avviso) non esplica effetti in quei procedimenti nei quali, al momento di emanazione della predetta sentenza, la fase incidentale de libertate risultava già conclusa con decisione definitiva. Infatti, la sanzione processuale di cui al comma 10 dell'art. 309 c.p.p. è finalizzata ad assicurare rapidità e certezza al procedimento di controllo di legittimità della custodia cautelare; a tanto consegue che, una volta che detto procedimento si sia esaurito con la verifica della sussistenza dei presupposti probatori e cautelari della detenzione, si esaurisce, del pari, la posizione giuridica processuale legata al rispetto dei termini temporali del procedimento. Non vi sarebbe infatti, in tal caso, ragione di invocare il mancato rispetto dei termini posti a presidio della celerità e certezza del procedimento, perché tale esigenza appare ormai superata dalla intervenuta decisione sul punto. (Fattispecie in cui, nel procedimento di riesame — conclusosi prima della emanazione della sentenza della Corte costituzionale 232/98 — non era stata dedotta né rilevata di ufficio l'inosservanza del termine di cui al comma quinto dell'art. 309 c.p.p.. La cassazione ha ritenuto che, essendosi in tal caso il procedimento concluso, con l'accertamento della legittimità sostanziale della misura restrittiva, si era, di conseguenza, verificata una preclusione endoprocessuale, che poteva essere superata solo con la deduzione di questioni di merito attinenti alla legittimità della misura, ma non anche con la deduzione della violazione dei termini da calcolarsi, secondo la interpretazione della Corte costituzionale, successivamente intervenuta).