(massima n. 1)
In tema di istanza di revoca di una misura cautelare, il giudice competente a pronunciarsi non incontra, nell'accertamento della carenza originaria (oltre che persistente) di indizi o di esigenze cautelari, alcuna preclusione nel fatto della mancata impugnazione dell'ordinanza impositiva ai sensi degli artt. 309, comma 1, e 311, comma 2, c.p.p. Quanto poi al tipo di preclusione suscettibile di formarsi a seguito delle pronunce che intervengano — ad opera della Corte Suprema, ovvero del tribunale in sede di riesame o di appello — all'esito del procedimento incidentale avente ad oggetto la misura cautelare, esso ha una portata più modesta rispetto a quello determinato dalla «cosa giudicata», sia perché esso è limitato allo stato degli atti, sia perché esso copre solo le questioni dedotte (implicitamente o esplicitamente), e non anche quelle deducibili. Ne consegue che un'istanza di revoca di una misura cautelare non possa essere giammai rigettata sulla base del solo fatto che l'originaria ordinanza impositiva non sia stata impugnata, incombendo, invece, in tal caso, sui giudici successivamente aditi, l'obbligo di delibare approfonditamente gli elementi invocati a sostegno della richiesta di revoca. Ne consegue altresì che, nel caso in cui si sia formata invece una preclusione del tipo di quella specificata innanzi, il giudice adito successivamente debba pur sempre motivare in ordine alla insussistenza di elementi nuovi, indipendentemente dallo spazio affidato ad essi dall'istante.