(massima n. 1)
Alla luce delle innovazioni introdotte dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 e, segnatamente, di quanto disposto dagli artt. 421 bis, 422, comma 1, 425, comma 3, c.p.p. (il primo di tali articoli inserito e gli altri due novellati da detta legge), deve ritenersi superata la regola stabilita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71/1996, dichiarativa della parziale incostituzionalità degli artt. 309 e 310 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio. Attesi, infatti, i nuovi e più incisivi poteri d'intervento attribuiti dalla nuova disciplina al giudice dell'udienza preliminare, come pure l'avvenuto inserimento, nella norma concernente la sentenza di non luogo a procedere, di una previsione omologa a quella già contenuta nell'art. 530, comma 2, c.p.p., deve ritenersi che, non potendo più (di regola) derivare detta sentenza da eventuale incompletezza delle indagini, il fatto che essa non venga pronunciata e si dia luogo invece al rinvio a giudizio non possa che derivare da una valutazione assimilabile a quella di qualificata probabilità di colpevolezza che sostanzia il quadro di gravità indiziaria richiesto dall'art. 273, comma 1, c.p.p. per l'applicazione di una misura cautelare personale.