(massima n. 1)
Nella fase di appello del giudizio abbreviato — che si svolge in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 443, comma quarto, e 599 c.p.p. — l'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato che ha manifestato la volontà di comparire (art. 599, comma secondo, c.p.p.): si tratta, quindi, di una manifestazione di volontà che deve essere fatta dall'imputato. (Nella fattispecie, all'udienza camerale del giudizio di appello, il difensore dell'imputato aveva formulato richiesta che il suo assistito, che era agli arresti domiciliari, partecipasse di persona, possibilmente con l'autorizzazione a recarsi in aula senza scorta: tale richiesta era stata rigettata perché «tardiva». Nel ricorso per cassazione, proposto avverso la sentenza di condanna, il difensore stesso aveva eccepito la nullità della sentenza pronunciata dalla corte di merito, non essendo stata data, all'imputato, la possibilità di presenziare al giudizio di appello, in violazione dell'art. 127 del codice di procedura penale. La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la doglianza relativa alla mancata traduzione in udienza dell'imputato detenuto agli arresti domiciliari, enunciando il principio di cui in massima. In motivazione la Corte di cassazione ha osservato che l'imputato non aveva manifestato alcuna volontà di comparire all'udienza, dato che l'istanza era stata formulata, senza alcuno specifico mandato al riguardo, dal difensore, il quale si era limitato a chiedere che il giudice autorizzasse l'imputato «a recarsi, senza scorta, all'udienza fissata. . .», senza chiedere l'eventuale traduzione del medesimo, nel caso che il giudice non avesse ritenuto di autorizzare l'imputato a recarsi in udienza senza scorta).