(massima n. 1)
La norma dell'art. 45 bis disp. att. c.p.p., che disciplina la partecipazione a distanza dell'imputato o del condannato all'udienza nel procedimento camerale, non attribuisce all'interessato detenuto fuori della circoscrizione del giudice competente, pur in presenza delle condizioni richieste dalla legge, il diritto di partecipare sempre e in ogni caso, mediante il sistema della videoconferenza, alle udienze di qualsiasi procedimento che si debba svolgere in camera di consiglio, giacché essa va interpretata alla luce di quanto dispongono l'art. 127, comma 3, c.p.p. e, in termini analoghi, l'art. 666, comma 4, stesso codice, i quali prevedono la facoltà di chi è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne abbia fatto richiesta, di essere sentito, prima del giorno fissato per l'udienza, dal competente magistrato di sorveglianza. Ne consegue che, mentre nel procedimento di riesame — stante la disposizione dell'art. 309, comma 6, c.p.p. che attribuisce all'istante la facoltà di enunciare motivi nuovi davanti al giudice del riesame — si deve ordinare la traduzione o l'audizione diretta a distanza dell'indagato, detenuto in luogo posto al di fuori della circoscrizione del tribunale competente che ne abbia fatto espressa richiesta, proprio per consentirgli l'esercizio di quella facoltà, nel procedimento conseguente ad appello cautelare tale diritto non è salvaguardato dalla legge, in quanto, per il principio devolutivo dell'appello e stante il mancato richiamo, nell'art. 310 c.p.p., del citato comma 6 dell'art. 309, una volta precisati i motivi dell'impugnazione nell'atto introduttivo, non è consentito all'indagato enunciare in udienza motivi diversi o prospettare nuovi elementi probatori per contrastare le risultanze di accusa, fermo restando che il giudice, ove lo ritenga opportuno, può disporre di ufficio la traduzione o l'audizione diretta dell'interessato.