(massima n. 3)
In tema di garanzie di libertà del difensore, la disposizione di cui all'art. 103, quarto comma, c.p.p., secondo cui all'attività di ispezione, perquisizione e sequestro da compiersi presso gli studi professionali legali deve procedere personalmente il giudice ovvero il pubblico ministero, non può essere interpretata nel senso che le relative operazioni debbano essere materialmente e fisicamente effettuate dall'autorità giudiziaria; la ratio della norma, infatti, non è quella di precludere alla polizia giudiziaria l'accesso alle carte ed ai documenti dei difensori, come se per ciò stesso si verificasse la compromissione del segreto professionale, bensì quella, assai diversa, di assicurare la presenza agli atti de quibus del magistrato che, anche in virtù della sua preparazione tecnica, sappia individuare con precisione i limiti che l'art. 103 c.p.p., al primo ed al secondo comma, pone all'attività di ispezione, ricerca ed apprensione. Non esiste alcuna preclusione legislativa, pertanto, né tantomeno da ciò può derivare sanzione processuale alcuna, a che il giudice o il pubblico ministero il quale, partecipando all'atto, ne assume la responsabilità, si limiti a dirigere e controllare le operazioni esecutive materialmente svolte in funzione di ausilio dalla polizia giudiziaria, secondo i compiti istituzionali a questa assegnati dal codice di rito (art. 56 c.p.p.).