(massima n. 1)
Il curatore del fallimento che proponga domanda giudiziale di adempimento di un'obbligazione contratta dal terzo nei confronti dell'imprenditore in epoca antecedente al fallimento non agisce in sostituzione dei creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito (e, dunque, nella veste processuale di terzo), ma esercita un'azione rinvenuta nel patrimonio del fallito stesso, ponendosi, conseguentemente, nella sua stessa posizione sostanziale e processuale; nella posizione, cioè, che avrebbe avuto il fallito agendo in proprio al fine di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza già prima della dichiarazione di fallimento, ed indipendentemente dal dissesto successivamente verificatosi. Ne consegue che il terzo convenuto in giudizio dal curatore può a questi legittimamente opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all'imprenditore fallito, comprese le prove documentali da questi provenienti, senza i limiti di cui all'art. 2704 c.c. giusta disposto degli artt. 2729, 2722 e 2724 c.c. Ne consegue altresì che l'art. 2710 c.c. — il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa — trova applicazione anche nel caso in cui una delle parti sia stata dichiarata fallita, quando si tratta di provare un rapporto obbligatorio sorto in periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento nel quale il curatore sia succeduto nella stessa posizione del fallito, riguardando la prova, anche in tal caso, un rapporto sorto tra imprenditori e non tra il curatore e l'imprenditore in bonis.