(massima n. 1)
In tema di reati societari, il giudice penale che accerti l'avvenuta abolitio criminis del reato di impedito controllo della gestione sociale - originariamente previsto dall'art. 2623, n. 3, c.c. - ad opera dell'art. 2625 c.c., introdotto dal D.L.vo n. 61 del 2002, il quale prevede che la condotta di impedito controllo, quando non abbia cagionato danno ai soci, sia punita con sanzione pecuniaria amministrativa - non ha l'obbligo di trasmettere gli atti alla autorità amministrativa competente ad applicare le sanzioni in ordine all'illecito depenalizzato, non sussistendo alcuna disposizione transitoria del D.L.vo n. 61 del 2002 che preveda un tale obbligo, mentre il legislatore, laddove ha ritenuto necessaria tale trasmissione, ha dettato un'espressa previsione (ad esempio per gli illeciti valutari), posto che detto obbligo si pone in contrasto con il principio di irretroattività della sanzione amministrativa sancita dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, che non può essere derogato se non nelle ipotesi tassativamente previste. Né sono applicabili - trattandosi di violazione antecedente l'entrata in vigore del. D.L.vo n. 61 del 2002 - le disposizioni transitorie di cui alla legge n. 689 del 1981, ovvero l'art. 2, comma terzo, c.p., in quanto tale previsione disciplina l'ipotesi di successione di leggi penali e non quella in cui sopravvenga una legge che trasforma il fatto costituente reato in illecito amministrativo. Con la conseguenza che in nessun caso l'autorità amministrativa può applicare alla violazione dell'art. 2623 n. 3 c.c. una sanzione ai sensi dell'art. 2625 c.c. come modificato.