(massima n. 1)
Il principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore, non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest'ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa. La prestazione d'opera del difensore può, infatti, essere gratuita - in tutto o in parte - per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela, anche di semplice convenienza. Sotto questo riflesso la retribuzione costituisce un diritto patrimoniale disponibile e la convenzione relativa può concretarsi, sul piano sostanziale, anche in un accordo transattivo, in quanto tale, pienamente lecito, rientrando esso nella libera autonomia dispositiva delle parti contraenti, alle quali è soltanto inibito di infrangere il divieto legale sancito dal citato art. 24, e cioè quello di predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari. (Nella fattispecie, la Corte, confermando la pronuncia di secondo grado, ha escluso che la richiesta periodica di pagamento a "forfait" formulata sulla base di un preventivo accordo in violazione dei minimi fosse qualificabile come lecita rinuncia successiva).