Con questa norma il legislatore ha inteso rafforzare la funzione di nomofilachia che l’ordinamento assegna alla Corte di Cassazione, volta ad assicurare una interpretazione uniforme del diritto.
Infatti, finalità di questo istituto giuridico è quella di ottenere la cassazione della sentenza impugnata, in modo da cancellare dall'ordinamento un precedente che contiene una violazione di norme di diritto, sostituendolo con la nuova sentenza, alla quale viene dato il ruolo precedente che, nel nostro ordinamento, non risulta vincolante.
La disciplina originaria parlava di ricorso nell'interesse della legge; esso non costituiva un mezzo di impugnazione, dal momento che poteva essere proposto solo avverso le
sentenze passate in giudicato e non produceva alcun effetto né confronti delle parti del giudizio originario né, tanto meno, sulla lite originaria, ormai decisa con una sentenza passata in giudicato.
Secondo quanto qui disposto, unico soggetto legittimato a chiedere l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge è il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione.
Requisiti per tale richiesta sono:
a) la pronuncia di almeno uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile
b) la reputata illegittimità del provvedimento stesso quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta (in caso di pluralità di provvedimenti divergenti, la presunta illegittimità di almeno uno di essi),;
c) un interesse della legge (trascendente quello delle parti) all'affermazione di un
principio di diritto per l'importanza di una sua espressa formulazione.
Pertanto, nessuna legittimazione a presentare la richiesta ex art. 363 compete alle parti del processo che ha originato la sentenza impugnata, né, tanto meno, queste possono avvalersi e giovarsi della eventuale cassazione della stessa (in caso contrario le parti avrebbero sommerso la Corte di un elevato numero di istanze in materie non altrimenti suscettibili di ricorso, né ordinario né straordinario).
Per la ragione sopra detta, la richiesta del procuratore generale non deve essere
notificata alle parti.
A seguito della riforma operata su questa norma dal D.lgs. n. 40/2006, è stata introdotta la possibilità che il principio di diritto sia enunciato anche d'ufficio dalla Corte di Cassazione qualora dichiari inammissibile il ricorso, proposto dalle parti, e dunque anche senza una istanza del procuratore generale.
Il Procuratore generale o la Suprema Corte (nel caso di pronuncia
ex officio) con la richiesta ex art. 363 possono far valere sia c.d.
errores in iudicando che tutti gli altri vizi denunciabili con il ricorso ordinario; resta escluso soltanto il vizio di motivazione, per la sua intrinseca incapacità di generare un precedente.
La decisione della Corte di Cassazione comporta esclusivamente l'ammissione, da parte della Corte medesima, di un proprio errore e la conseguente cancellazione di un precedente contenente violazione di norme di diritto.
Non produce alcun effetto sulle parti del giudizio originario, ormai definitivamente conclusosi con il passaggio in giudicato della sentenza, né nei confronti del P.G., non essendo portatore di posizioni giuridiche soggettive.
In conclusione, la decisione del ricorso comporta solo la creazione di un precedente giurisprudenziale non vincolante, di cui potranno tenere conto i giudici nei futuri giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.