Prima della riforma intervenuta per effetto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 la norma in esame conteneva sia la disciplina inerente la determinazione della sede dell'arbitrato, sia la normativa relativa al procedimento arbitrale, aspetto quest’ultimo che adesso è contenuto nel successivo
art. 816 bis del c.p.c..
In relazione alla fissazione della sede viene confermato il principio secondo cui essa è determinata dalle parti ed, in mancanza, dagli
arbitri (viene eliminato ogni riferimento al fatto che tale determinazione debba essere compiuta nella prima riunione).
Viene poi introdotto il criterio residuale per cui, se né le parti né gli arbitri provvedono all'individuazione della sede, questa deve intendersi fissata nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione arbitrale, mentre se tale luogo è all'estero, la sede è a Roma.
L’individuazione della sede sulla base dei criteri qui dettati è chiaramente funzionale a ricollegare alla stessa tutta una serie di competenze, tra cui quella del
tribunale che dovrà fornire l'
exequatur e quella della Corte d'appello che si dovrà occupare della eventuale
impugnazione del
lodo.
Ai fini della determinazione della sede, si considera sufficiente l'indicazione di una specifica località geografica, senza necessità di uno specifico recapito o indirizzo.
La sede arbitrale deve essere distinta dal
domicilio dell'arbitro: in alcuni casi possono anche coincidere, ma non necessariamente. Quando sede e domicilio non coincidono solo la sede rileva ai fini arbitrali.
Dalla lettura dell’ultimo comma, si ha infine conferma del fatto che la norma in esame individua solo la sede legale dell'arbitrato, precisandosi che gli atti del processo arbitrale si possono concretamente svolgere anche in luogo diverso da quello della sede legale, sempre che le parti non abbiano disposto diversamente.