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Articolo 89 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Divieto temporaneo di nuove nozze

Dispositivo dell'art. 89 Codice Civile

Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall'annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all'articolo 3, n. 2, lettere b) ed f), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi(1).

Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio(2) quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta la sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell'articolo 84 e del comma quinto dell'articolo 87.

Il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata.

Note

(1) Il comma è stato così sostituito dall'art. 22 della l. 6 marzo 1987, n. 74.
(2) L'autorizzazione alla celebrazione spetta al tribunale ordinario del luogo in cui risiede la donna che fa istanza.

Ratio Legis

La ratio del lutto vedovile è quella di evitare la cd. commixtio (o turbatio) sanguinis, cioè il rischio di dubbi sulla paternità del figlio nato durante il periodo compreso nei citati 300 giorni.
Le ipotesi di divieto riguardano lo scioglimento del matrimonio (cd. divorzio) chiesto a seguito della sentenza dichiarativa di separazione dei coniugi, o il caso in cui non vi sia stata consumazione.
Sempre in continuità con la ratio delineata (evitare la turbatio sanguinis), sarà possibile il nuovo matrimonio qualora il precedente matrimonio fu dichiarato nullo per impotenza a generare di almeno uno dei coniugi.

Brocardi

Commixtio sanguinis
Tempus lugendi
Turbatio sanguinis

Spiegazione dell'art. 89 Codice Civile

Il cd. lutto vedovile è un impedimento impediente, ossia, pur non invalidando il matrimonio, comporta una sanzione per gli sposi rappresentata dall'ammenda di cui all'art. 140 del c.c..

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

89 Non essendo stata accolta, per le ragioni che saranno esposte in prosieguo, la proposta di elevare a trecentotré giorni il termine massimo per la presunzione di concepimento durante il matrimonio (art. 232 del c.c.), è rimasto fissato in trecento giorni il periodo del lutto vedovile (art. 89 del c.c.). Sono stati fusi in un solo articolo, l'art. 90 del c.c., gli articoli 96 e 97 del progetto, che contenevano le norme sull'assenso per il matrimonio del minore. Nell'art. 91 del c.c. si è fatto, riferimento alle leggi speciali, sia per quanto riguarda le limitazioni ai matrimoni tra persone appartenenti a razze diverse, sia per le condizioni prescritte per i matrimoni tra cittadini e stranieri.

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Sabrina L. chiede
venerdģ 27/07/2018 - Estero
“Buongiorno,
Io sono italiana residente all estero ( Scozia, Regno Unito) iscritta all Aire di Edimburgo dal 2001.
Il 18 maggio 2018 con divorzio consensuale rito abbreviato senza appello ho ottenuto il decree di divorzio dal tribunale di Glasgow.
Vorrei risposarmi a settembre 2018 ma il consolato dove dovrò fare le pubblicazioni mi pone davanti l'art 89 a meno che non ci sia una sentenza passata in giudicato del tribunale (comma 5).
Io ho fatto loro presente di essere già in possesso di tale decreto del tribunale di Glasgow.
La risposta che ho ricevuto e che deve essere un tribunale italiano in quanto normativa italiana.
Ma io leggevo nelle loro note che il tribunale di competenza e quello dove fa residenza la donna che fa istanza.
Possono loro chiarire questa empasse tecnica.
In attesa di loro riscontro auguro loro una buona giornata.
Cordiali Saluti

Consulenza legale i 02/08/2018
Purtroppo è possibile che il consolato non abbia tenuto conto della procedura di divorzio di cui ci si è avvalsi nel Regno unito, dove per arrivare al divorzio è sufficiente che i coniugi siano d’accordo (si parla, infatti, di divorzio consensuale).
Sussistendo tale accordo, i coniugi ottengono dal Tribunale, a cui è stata presentata quella che viene tecnicamente definita “petizione” (nel nostro caso il Tribunale di Glasgow) il c.d. "Decree absolute" o sentenza di divorzio che, una volta emessa, passa in giudicato ed è definitiva ed inappellabile.
Tale sentenza sarà immediatamente trascrivibile in Italia e non dovrà essere riconosciuta da nessun Tribunale.

Ciò che occorre, invece, è che venga apostillata e tradotta in italiano, dopodiché si sarà in condizione di richiederne la trascrizione presso l’Ufficio di stato civile del Comune in cui risulta trascritto il matrimonio; tale trascrizione dovrà essere richiesta dal soggetto interessato personalmente, attraverso l’Autorità consolare italiana ovvero tramite un legale munito di procura speciale con sottoscrizione autenticata dallo stesso legale.
Trascritto il divorzio, si può definitivamente conseguire lo stato libero e ci si può immediatamente risposare.

Probabilmente, ciò che manca e che il consolato richiede è proprio quest’ultimo passaggio, il mancato espletamento del quale non ha ancora fatto conseguire la libertà di stato e, conseguentemente, non consente di procedere alle pubblicazioni necessarie per contrarre nuovo matrimonio.
Qualora, invece, il Consolato non voglia accontentarsi di ciò e insista nel richiedere una sentenza passata in giudicato emessa dal Tribunale italiano (non si riesce ad ipotizzare quale Tribunale, considerato che i coniugi risiedono in Scozia), allora potrà formalmente invocarsi l’applicazione della normativa che regola la materia, ossia il Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea n. L.338 del 23.12.2003.

Dispone intanto l’art. 1 di tale regolamento che esso si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civile relative al divorzio, mentre, per quanto concerne la competenza generale, ai sensi del successivo art. 3 sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio le autorità giurisdizionali dello stato membro nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi.
La semplice lettura di queste due norme consente di affermare che solo il Tribunale di Glasgow, luogo in cui risiedono i coniugi, avrebbe potuto emettere la sentenza di divorzio, dovendosi di contro escludere che tale sentenza possa essere emessa da un Tribunale italiano.

A ciò si aggiunga un’altra considerazione: l’art. 17 del Regolamento disciplina la c.d. “Verifica della competenza”, disponendo che, qualora l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro venga investita di una controversia per la quale lo stesso Regolamento non preveda la sua competenza, dovrà dichiarare d’ufficio la propria incompetenza.
La circostanza che ciò non sia avvenuto e che sia stata regolarmente emessa la sentenza (decree) di divorzio, esclude che vi possa essere altro Tribunale (quale quello italiano) competente per la medesima materia.

Sotto il profilo della immediata trascrivibilità in Italia di quella sentenza e della non necessità che venga ivi riconosciuta, potrà invocarsi l’art. 21 del Regolamento, rubricato proprio “Riconoscimento delle decisioni”, per effetto del quale “Le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento”.
Il secondo comma invece dispone che ai fini dell’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno stato membro di una decisione di divorzio contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di tale stato membro, non è necessario alcun procedimento.

A questo punto, considerato che si è già in possesso di una sentenza di divorzio immediatamente esecutiva in qualsiasi stato membro, emessa da un Tribunale territorialmente competente, ciò che si suggerisce è di adoperarsi al fine di ottenere dall’autorità giurisdizionale competente e che ha emesso il provvedimento, una dichiarazione di esecutività, ciò che è espressamente previsto dall’art. 37 del Regolamento.
Dispone tale norma che la parte che chiede una dichiarazione di esecutività deve , produrre:
a) una copia della decisione che presenti le condizioni di autenticità prescritte;
b) il certificato relativo alla decisione resa, previsto dal successivo art. 39 e rilasciato utilizzando il modello standard di cui all’allegato 1 del Regolamento.

Riassumendo, sotto il profilo prettamente pratico si consiglia di seguire i seguenti passaggi:
1. recarsi presso la Cancelleria del Tribunale di Glasgow e richiedere la dichiarazione di esecutività della sentenza (decree) di divorzio ex art. 37 del Regolamento;
2. richiedere alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana la legalizzazione (apostille) e traduzione della sentenza, ex art. 33 commi 2 e 3 del DPR 445/2000[1];
3. presentare tale sentenza apostillata e tradotta all’Ufficio di Stato civile del Comune ove è stato celebrato il matrimonio per la sua trascrizione;
4. richiedere, per terminare, le pubblicazioni al Consolato italiano del luogo in cui dovrà essere celebrato il matrimonio.


[1] Articolo 33 (L)
Legalizzazione di firme di atti da e per l'estero
1.Le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere all'estero davanti ad autorità estere sono, ove da queste richiesto, legalizzate a cura dei competenti organi, centrali o periferici, del Ministero competente, o di altri organi e autorità delegati dallo stesso.
2. Le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero. Le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane o dai funzionari da loro delegati non sono soggette a legalizzazione. Si osserva l'articolo 31.
3. Agli atti e documenti indicati nel comma precedente, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale.
4. Le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere nello Stato, rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, sono legalizzate a cura delle prefetture.
5. Sono fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali.