Cosa succede se ci viene cancellato il volo e siamo costretti a passare la notte nella città in cui ci troviamo? In questo caso, abbiamo diritto al risarcimento del danno? E, se sì, in quale misura?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12088 del 10 giugno 2015, si è trovata a dare risposta a questi quesiti, fornendo alcune interessanti precisazioni in materia di diritto al risarcimento del danno in caso di cancellazione del volo aereo.
Nel caso esaminato dalla Corte, un uomo era stato costretto a trascorrere una notte all'aeroporto di Parigi, in quanto il suo volo di ritorno per l'Italia era stato cancellato.
In conseguenza del disagio patito, egli aveva agito in giudizio nei confronti della compagnia aerea, chiedendo che la stessa fosse condannata a risarcirgli i danni subiti "per la cancellazione di un volo, il ritardo nel far ritorno nel far ritorno alla sua destinazione e la violazione parte della compagnia aerea degli obblighi di assistenza a terra in caso di ritardi e cancellazioni".
Nello specifico, l'uomo aveva riferito di essere stato informato della cancellazione del volo, di essersi messo in lista d'attesa ma di non essere, poi, riuscito a imbarcarsi nel volo successivo, in quanto tutti i posti erano occupati. Inoltre, la compagnia aerea non si sarebbe nemmeno preoccupata "di procurargli i pasti", né di trovargli una sistemazione in albergo, con la conseguenza che egli era stato costretto a trascorrere la notte in aeroporto, riuscendo a tornare a casa solo il giorno dopo.
Il viaggiatore, dunque, aveva chiesto "il risarcimento del danno comprensivo delle spese sostenute per i consumi durante la permanenza in aeroporto, del danno per la perdita di una mattinata di lavoro e del danno non patrimoniale per violazione degli obblighi di assistenza".
In primo grado e in secondo grado, tuttavia, il Giudice di Pace e il Tribunale non accoglievano completamente le sue domande e, in particolare, non ritenevano fondata la domanda relativa al risarcimento del danno, in quanto, secondo i giudici la compagnia aerea doveva essere condannata a rimborsare al viaggiatore solo le spese effettivamente sostenute per trascorrere la notte all'aeroporto.
L'uomo proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, il quale, però, veniva rigettato, in quanto la Corte riteneva di dover aderire alle conclusioni cui erano giunti i giudici dei precedenti gradi di giudizio.
In particolare, la Cassazione giustificava tale sua decisione, sulla base del fatto che, nel caso di specie, non era stata fornita "la prova di una sofferenza", dal momento che l'uomo "avrebbe ben potuto attivarsi per evitare o contenere il danno, reperendo una soluzione di alloggio in albergo, evitando così di dormire in aeroporto".
Secondo la Cassazione, quindi, non sussisteva alcun diritto al risarcimento, in quanto "la violazione degli obblighi di assistenza da parte della convenuta in mancanza di specifiche allegazioni dell'attore non poteva ritenersi fonte di una sofferenza di gravità tale da far sorgere un diritto risarcitoria".
In conclusione, dunque, secondo la Cassazione, il ricorso doveva essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale, in quanto il soggetto in questione non aveva adeguatamente provato di aver subito una sofferenza tale da giustificare la domanda risarcitoria.
Dunque, appariva corretta la decisione dei giudici dei primi due gradi di giudizio, che avevano ritenuto di riconoscere al viaggiatore solo il diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute per trascorrere la notte in aeroporto (come ad esempio, quelle relative ai pasti e agli altri consumi effettuati).