Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva condannato un infermiere del Pronto Soccorso per il reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.) in quanto questi aveva colposamente errato la valutazione nei confronti di un paziente che era stato portato al Pronto Soccorso in Ospedale per un infarto in corso, attribuendo allo stesso un “codice verde”, nonostante il personale dell’ambulanza gli avesse assegnato un “codice giallo” e nonostante i familiari avessero riferito che il padre del paziente era deceduto per infarto.
L’infermiere, inoltre, non aveva provveduto a rivalutare lo stato del paziente, tanto che gli infermieri subentrati nel turno, dopo aver accertato le condizioni gravissime del paziente, lo facevano ricoverare immediatamente nel reparto di cardiologia, dove, tuttavia, lo stesso, poco dopo, decedeva.
Ritenendo la condanna ingiusta, l’infermiere decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe fondato la propria decisione sulle testimonianze rese dai soggetti che erano interessati ad ottenere il risarcimento del danno, i quali, pertanto, non potevano essere considerati attendibili.
Osservava l’infermiere che il paziente in questione non aveva manifestato alcun sintomo e che la Corte d’appello aveva errato nell’affermare che l’infarto era già in atto al momento del ricovero.
L’infermiere, inoltre, evidenziava di essersi attenuto alle linee guida dell’Ospedale e che i tempi di attesa non avevano inciso sulla situazione clinica del paziente.
La Corte di Cassazione, nel decidere sulla questione, evidenziava che la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, rilevando che l’imputato aveva violato le linee guida dell’ospedale, nonché “le regole di comune diligenza e perizia richieste agli infermieri professionali addetti al Pronto Soccorso”, tenuto conto dei sintomi manifestati dal paziente e delle dichiarazioni rese dai familiari.
Osservava la Cassazione, inoltre, che l’assegnazione del corretto codice di priorità avrebbe comportato, secondo quanto previsto dalle linee guida, l'effettuazione dell'elettrocardiogramma entro trenta minuti, il che avrebbe consentito di fornire le adeguate cure al paziente.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente rilevato la sussistenza dei presupposti per ricondurre il decesso alla condotta colposa dell’imputato.
Ciò nonostante, la Corte di Cassazione si trovava costretta ad annullare ugualmente la sentenza impugnata, in quanto il reato di omicidio colposo si era ormai estinto per intervenuta prescrizione.