La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48767 del 24 ottobre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva condannato un’imputata per il reato di “furto aggravato dalla destrezza” (art. 625, n. 4, c.p.
L’imputata, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo l’imputata, in particolare, nel caso di specie, il giudice non avrebbe dovuto ritenere configurata l’aggravante della “destrezza”, non sussistendone gli elementi costitutivi.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputata, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva ritenuto sussistente la “destrezza”, “per avere l'imputata, con gesto repentino, approfittato della momentanea distrazione della persona offesa nella custodia della propria borsa per sottrarre dalla medesima del danaro e delle carte di credito”.
Precisava la Cassazione, tuttavia, che le Sezioni Unite della Corte stessa, con la sentenza n. 34090 del 27 aprile 2017, hanno chiarito che la suddetta circostanza aggravante può dirsi configurata solamente nel caso in cui sia stato il ladro stesso, “con il proprio comportamento caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza a creare la situazione idonea a sorprendere, eludere o attenuare la sorveglianza sul bene”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, nel caso di specie, poiché era stata la persona offesa a distrarsi, non adeguatamente sorvegliando il bene oggetto di furto, doveva escludersi la ricorrenza della contestata aggravante.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputata, escludendo la ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 4, c.p.