Se presento al lavoro un certificato di malattia che giustifica l’assenza per un giorno ma, poi, sto a casa anche altri giorni, il capo mi può licenziare?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10838 del 4 maggio 2017, si è occupata proprio di un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni sulla questione.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, in particolare, un lavoratore era stato licenziato per “giusta causa” (art. 2119 cod. civ.), a causa della propria “assenza ingiustificata” dal lavoro, in quanto il medesimo aveva presentato un certificato di malattia che giustificava l’assenza per una sola giornata ma poi era stato a casa anche i due giorni successivi, violando una precisa norma del contratto collettivo di lavoro.
Il lavoratore, ritenendo il licenziamento illegittimo, aveva deciso di rivolgersi al Giudice e la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto, in effetti, che il licenziamento dovesse considerarsi illegittimo, condannando il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro e a risarcirgli il danno subito.
Secondo la Corte d’appello, infatti, dagli accertamenti effettuati nel corso del procedimento non era emerso con chiarezza se il lavoratore avesse comunicato l’assenza per un solo giorno o anche per i giorni successivi e, comunque, non si può pretendere che il lavoratore preveda la durata futura della propria malattia.
Secondo la Corte d’appello, infine, la sanzione del licenziamento doveva anche considerarsi sproporzionata, dal momento che, nel caso di specie, i testimoni sentiti in corso di causa avevano confermato che il lavoratore aveva tentato di procurarsi il certificato medico anche per le altre giornate di assenza ma ciò non era stato possibile a causa dell’assenza del proprio medico curante.
La società datrice di lavoro, a seguito della pronuncia della Corte d’appello, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte d’appello, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla società datrice di lavoro, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che la Corte d’appello aveva del tutto correttamente escluso che sussista un obbligo del lavoratore di indicare sin dall’inizio i giorni di malattia, in quanto non è possibile “richiedere al lavoratore l’ulteriore onere di comunicare gli sviluppi della malattia, ossia una sorta di prognosi della durata della stessa”.
Evidenziava la Cassazione, in proposito, che, dalle testimonianze assunte in corso di causa risultava accertato che il lavoratore non aveva violato alcun obbligo contrattuale, dal momento che lo stesso aveva avvisato dell’inizio della malattia e poi aveva avuto obiettiva difficoltà a procurarsi il certificato medico.
In ogni caso, poi, secondo la Cassazione, la sanzione del licenziamento era stata certamente sproporzionata, in quanto la condotta posta in essere non aveva fatto venir meno il rapporto di fiducia che deve sussistere tra lavoratore e datore di lavoro.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza emessa dalla Corte d’appello e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.
Secondo la Cassazione il licenziamento, in questo caso, è illegittimo, in quanto non si può pretendere che il lavoratore preveda la durata futura della propria malattia.