Dall’inizio del 2024, è diventata operativa la nuova misura prevista dal Governo in sostituzione del Reddito di cittadinanza, dopo l’introduzione del Supporto per la formazione e il lavoro (SFL). Stiamo parlando dell’Assegno di inclusione (ADI).
C’è un dubbio: cosa succede se il beneficiario dell’ADI trova lavoro? Possono coesistere ADI e lavoro?
L’ADI è un beneficio riconosciuto ai nuclei familiari fragili: cioè, quelli con almeno un componente con disabilità, o minorenne, o con almeno sessant’anni, o in condizione di svantaggio e inserito in un programma di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali, certificato dalla pubblica amministrazione.
Bisogna tener conto che l’ADI è una misura che favorisce la ricerca del lavoro. Infatti, per accedere a questo nuovo beneficio, è necessario partecipare ad un percorso di inclusione sociale e lavorativa. L’erogazione dell'ADI parte dal mese successivo alla sottoscrizione del Patto di Attivazione Digitale (PAD): nel PAD l’interessato deve dare le informazioni necessarie per l’attivazione al lavoro e per la sottoscrizione del Patto di Servizio Personalizzato, come l’indicazione di almeno tre agenzie per il lavoro. Inoltre, con il PAD, l’interessato si impegna anche a presentarsi alla convocazione del servizio per il lavoro che è competente per la stipula del Patto di Servizio Personalizzato.
Dunque, se il beneficiario ADI riesce a trovare lavoro, perde l’assegno di inclusione?
La normativa (art. 3 d.l. n. 48 del 2023) stabilisce che l’ADI può convivere con l’avvio di un lavoro da parte di uno o più componenti del nucleo familiare. Questo discorso vale per il lavoro dipendente, per attività imprenditoriali o lavoro autonomo, nonché per la partecipazione a programmi di politiche attive di lavoro indennizzati (a prescindere dalla loro denominazione).
In sintesi, la misura dell’ADI è compatibile con l’occupazione: ossia, è possibile lavorare durante l’erogazione dell’ADI.
C’è un però. È vero che l’ADI può coesistere con il lavoro, ma bisogna comunque rispettare un limite di reddito da lavoro. Infatti, la disciplina vigente (sempre l’art. 3 d.l. n. 48 del 2023) precisa che occorre non oltrepassare la soglia massima annuale di 3.000 euro lordi per l’intero nucleo familiare.
In pratica, il reddito aggiuntivo, che deriva dal lavoro, non contribuisce al calcolo della misura economica. Tuttavia, questo reddito non viene considerato fino al momento in cui non vengano superati i 3.000 euro lordi annui per l’intero nucleo familiare.
Cosa succede se si supera questa soglia prestabilita?
Quando il reddito da lavoro oltrepassa quel determinato limite di 3.000 euro, esso andrà ad incidere sul riconoscimento o meno del beneficio: ossia, il reddito derivante da quest’attività verrà inserito nel calcolo del beneficio economico a partire dal mese successivo alla variazione. Ciò fino a quando non sarà compreso nell’ISEE per l’intero anno.
E non finisce qui. Infatti, entro trenta giorni dall’inizio del lavoro, il soggetto interessato ha l’obbligo di fare una comunicazione all’INPS per segnalare il cambiamento, usando il modulo “Adi.Com Esteso”.
Questa comunicazione è necessaria per il ricalcolo del beneficio. Nello specifico, il lavoratore dovrà comunicare il reddito presunto derivante da tale attività e l’INPS procederà a calcolare soltanto la parte di reddito che oltrepassa la soglia dei 3.000 euro.
Peraltro, come detto, il lavoratore ha l’obbligo di effettuare questa comunicazione all’INPS. Però, cosa succede se non rispetta il termine dei trenta giorni? La risposta è semplice: l'interessato andrà incontro alla sospensione del beneficio o alla decadenza dopo tre mesi di inadempienza.
Un’ultima necessaria precisazione.
Se entro i primi dodici mesi dall’avvio della misura il beneficiario dell’ADI inizia un’attività imprenditoriale o un lavoro autonomo, la normativa (l’art. 10, comma 6 d.l. n. 48/2023) gli riconosce, in aggiunta, un beneficio erogato in un’unica soluzione che è pari a sei mensilità dell’ADI (ma con un limite di 500 euro mensili). Un decreto del Ministero del Lavoro preciserà le modalità di richiesta e di erogazione.
C’è un dubbio: cosa succede se il beneficiario dell’ADI trova lavoro? Possono coesistere ADI e lavoro?
L’ADI è un beneficio riconosciuto ai nuclei familiari fragili: cioè, quelli con almeno un componente con disabilità, o minorenne, o con almeno sessant’anni, o in condizione di svantaggio e inserito in un programma di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali, certificato dalla pubblica amministrazione.
Bisogna tener conto che l’ADI è una misura che favorisce la ricerca del lavoro. Infatti, per accedere a questo nuovo beneficio, è necessario partecipare ad un percorso di inclusione sociale e lavorativa. L’erogazione dell'ADI parte dal mese successivo alla sottoscrizione del Patto di Attivazione Digitale (PAD): nel PAD l’interessato deve dare le informazioni necessarie per l’attivazione al lavoro e per la sottoscrizione del Patto di Servizio Personalizzato, come l’indicazione di almeno tre agenzie per il lavoro. Inoltre, con il PAD, l’interessato si impegna anche a presentarsi alla convocazione del servizio per il lavoro che è competente per la stipula del Patto di Servizio Personalizzato.
Dunque, se il beneficiario ADI riesce a trovare lavoro, perde l’assegno di inclusione?
La normativa (art. 3 d.l. n. 48 del 2023) stabilisce che l’ADI può convivere con l’avvio di un lavoro da parte di uno o più componenti del nucleo familiare. Questo discorso vale per il lavoro dipendente, per attività imprenditoriali o lavoro autonomo, nonché per la partecipazione a programmi di politiche attive di lavoro indennizzati (a prescindere dalla loro denominazione).
In sintesi, la misura dell’ADI è compatibile con l’occupazione: ossia, è possibile lavorare durante l’erogazione dell’ADI.
C’è un però. È vero che l’ADI può coesistere con il lavoro, ma bisogna comunque rispettare un limite di reddito da lavoro. Infatti, la disciplina vigente (sempre l’art. 3 d.l. n. 48 del 2023) precisa che occorre non oltrepassare la soglia massima annuale di 3.000 euro lordi per l’intero nucleo familiare.
In pratica, il reddito aggiuntivo, che deriva dal lavoro, non contribuisce al calcolo della misura economica. Tuttavia, questo reddito non viene considerato fino al momento in cui non vengano superati i 3.000 euro lordi annui per l’intero nucleo familiare.
Cosa succede se si supera questa soglia prestabilita?
Quando il reddito da lavoro oltrepassa quel determinato limite di 3.000 euro, esso andrà ad incidere sul riconoscimento o meno del beneficio: ossia, il reddito derivante da quest’attività verrà inserito nel calcolo del beneficio economico a partire dal mese successivo alla variazione. Ciò fino a quando non sarà compreso nell’ISEE per l’intero anno.
E non finisce qui. Infatti, entro trenta giorni dall’inizio del lavoro, il soggetto interessato ha l’obbligo di fare una comunicazione all’INPS per segnalare il cambiamento, usando il modulo “Adi.Com Esteso”.
Questa comunicazione è necessaria per il ricalcolo del beneficio. Nello specifico, il lavoratore dovrà comunicare il reddito presunto derivante da tale attività e l’INPS procederà a calcolare soltanto la parte di reddito che oltrepassa la soglia dei 3.000 euro.
Peraltro, come detto, il lavoratore ha l’obbligo di effettuare questa comunicazione all’INPS. Però, cosa succede se non rispetta il termine dei trenta giorni? La risposta è semplice: l'interessato andrà incontro alla sospensione del beneficio o alla decadenza dopo tre mesi di inadempienza.
Un’ultima necessaria precisazione.
Se entro i primi dodici mesi dall’avvio della misura il beneficiario dell’ADI inizia un’attività imprenditoriale o un lavoro autonomo, la normativa (l’art. 10, comma 6 d.l. n. 48/2023) gli riconosce, in aggiunta, un beneficio erogato in un’unica soluzione che è pari a sei mensilità dell’ADI (ma con un limite di 500 euro mensili). Un decreto del Ministero del Lavoro preciserà le modalità di richiesta e di erogazione.