(massima n. 1)
L'art. 102 bis disp. att. c.p.p., nel prevedere che chi sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero a quella degli arresti domiciliari ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione, presuppone che il licenziamento sia stato determinato in stretto rapporto di causalità con la detenzione, e cioè che il recesso del datore di lavoro sia fondato esclusivamente sul fattore obiettivo dello status custodiae del prestatore d'opera; ne consegue che la citata disposizione non può dare titolo alla reintegrazione nel posto di lavoro qualora il licenziamento risulti, come nella specie, in via autonoma giustificato sulla base di elementi ulteriori rispetto alla mera assenza del lavoratore determinata da provvedimento cautelare. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva accertato che il licenziamento era stato intimato al lavoratore sottoposto alla misura della custodia in carcere, sia per motivi disciplinari, e cioè per motivi riconducibili, in base al CCNL applicabile, ad una giusta causa, sia per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ai sensi dell'art. 1464 c.c. e dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, e non anche per lo stato di detenzione al quale egli era stato sottoposto).