(massima n. 1)
Premesso che i fatti addebitati al lavoratore e posti a fondamento del licenziamento per giusta causa possono inerire anche alla sua vita privata, purché idonei ad incidere sulla possibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro, a maggior ragione assume rilevanza ai suddetti fini la condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto di lavoro, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione, rilevando in tale caso non come addebito di natura disciplinare, ma quale giusta causa di licenziamento. Il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi, fermo restando che, nell'ipotesi di dipendenti di istituti di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario — rapporto che è più intenso nel settore bancario — deve essere valutata con particolare rigore e a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro, fermo restando altresì che il giudice civile può procedere autonomamente all'accertamento dei fatti addebitati al dipendente anche se a carico di quest'ultimo penda un procedimento penale, tanto più allorquando tra i comportamenti rilevanti in sede penale e in sede civile non vi sia piena sovrapposizione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto giustificato il licenziamento intimato a un dipendente di un istituto bancario ravvisando una giusta causa nei comportamenti inadempienti tenuti dal lavoratore stesso nel contesto di un precedente rapporto di lavoro intrattenuto con altro istituto di credito).