(massima n. 1)
In tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo (che ha natura ontologicamente disciplinare e al cui procedimento sono applicabili le garanzie procedurali in materia di pubblicità della normativa, di contestazione preventiva dell'addebito e di difesa del lavoratore), ai sensi dell'art. 2119 c.c. o dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso — istituzionalmente rimesso al giudice di merito — si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l'inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell'onere su di lui incombente ex art. 5 della citata legge n. 604 del 1966, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della «non scarsa importanza» di cui all'art. 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria — durante il periodo di preavviso — del rapporto. A tale stregua, l'assenza di nocumento (o di serio pericolo di nocumento) della sfera patrimoniale del datore di lavoro, se può concorrere a fornire elementi per la valutazione di gravità del comportamento inadempiente, non è decisiva per escludere che possa dirsi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia, da valutarsi in concreto in considerazione della realtà aziendale e delle mansioni. (Nella specie, sulla scorta del complessivo principio enunciato, la S.C. ha rigettato il ricorso e confermato l'impugnata sentenza, con la quale, in dipendenza delle circostanze del caso concreto, anche ai fini della valutazione dell'intenzionalità del comportamento del lavoratore, era stata ravvisata la legittimità del licenziamento intimato a quest'ultimo in considerazione della gravità delle violazioni allo stesso addebitate, tali da concretare il giustificato motivo soggettivo, essendo rimasto accertato che il dipendente di un'azienda commerciale si era reiteratamente sottratto all'esecuzione dei propri compiti, avendo, in particolare, «costruito» in una zona lontana dal suo reparto, una sorta di nicchia che gli consentiva di sottrarsi al controllo degli altri dipendenti e dei superiori e di dedicarsi ad attività personali, cosa ponendo in essere una condotta univocamente contraria a buona fede e correttezza nello svolgimento del rapporto di lavoro).