(massima n. 1)
In tema di mansioni diverse da quelle dell'assunzione, la equivalenza fra le nuove mansioni e quelle precedenti — che legittima lo jus variandi del datore di lavoro, a norma della disciplina legale in materia (art. 2103 c.c., come sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300) — deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l'arricchimento dei patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto giustificato il rifiuto della lavoratrice — medico con qualifica di assistente e con mansioni internistiche-cardiologiche — di prestare turni di guardia, che venivano svolti solo dal personale con specifica competenza in ordine alle malattie di carattere psichiatrico, per le quali in genere avvenivano i ricoveri presso la casa di cura, mentre la lavoratrice era l'unico medico dipendente del servizio di medicina interna di tutti i reparti neuropsichiatrici, effettuando oltre a diagnosi e terapie internistiche, tutti gli interventi ritenuti necessari o sollecitati dal personale medico-psichiatrico; sicché, le mansioni rifiutate non erano equivalenti rispetto a quelle precedentemente svolte, in quanto non consentivano la piena utilizzazione né, tantomeno, l'arricchimento del patrimonio professionale della stessa lavoratrice sulle problematiche internistiche.