(massima n. 1)
Il contratto individuale di lavoro stipulato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni deve conformarsi al contratto collettivo il quale, a sua volta, demanda al contratto collettivo integrativo di ente l'attuazione delle sue disposizioni; ne consegue che l'adeguamento del contratto individuale a quello collettivo implica, senza necessità di specifici richiami, l'adeguamento anche al contratto collettivo integrativo, che rappresenta un modo per conformare il patto individuale alle regole collettive nazionali. Pertanto, ove sussista un obbligo (previsto dal contratto collettivo) sulla cui portata non sorgono incertezze, e tale obbligo venga adempiuto, non vi è ragione di invocare i principi di buona fede e di correttezza che non operano come fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale (nella specie, alcuni lavoratori avevano convenuto in giudizio l'INPS, nella sua qualità di datore di lavori, assumendo di aver diritto, in quanto esterni vincitori di un concorso, a vedersi riconosciuta la diversa qualifica professionale indicata nel bando e poi abolita dal contratto collettivo integrativo stipulato successivamente alla pubblicazione del bando medesimo. La S.C., nel rigettare il ricorso contro la sentenza che aveva respinto la domanda dei lavoratori, ha evidenziato che dal testo del contratto collettivo non risultava in alcun modo sostenibile la tesi di una non applicabilità del medesimo ai dipendenti provenienti dal pubblico concorso, tanto più che gli stessi avevano stipulato un contratto individuale nel quale si faceva riferimento all'inquadramento di cui al menzionato contratto collettivo successivo, sicché non potevano essere invocati i principi di correttezza e buona fede al di fuori del testo contrattuale).