(massima n. 1)
In materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale — posto per la separazione, dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, nell'art. 155 comma primo c.c. (che ha esplicitamente codificato un principio costantemente adottato in precedenza dalla giurisprudenza e dalla dottrina), e, per il divorzio, dall'art. 6 della legge n. 898/1970 — rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo — nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante — i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore. In tale prospettiva consegue, da un lato, che la stessa posizione del genitore affidatario si configuri piuttosto che come un «diritto», come un munus, e che la stessa regolamentazione del c.d. «diritto di visita» del genitore non affidatario debba far conto del profilo per cui un tale «diritto» si configuri esso stesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l'esercizio del fondamentale «diritto-dovere» di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova riconoscimento costituzionale nell'art. 30, comma 1 della Costituzione, e viene posto, dall'art. 147 c.c., fra gli effetti del matrimonio.