(massima n. 1)
Il fondamento della responsabilità ex art. 2051 c.c. per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia è costituito dalla violazione dell'obbligo di sorveglianza, il quale presuppone, però, che il terzo danneggiato abbia un titolo per entrare in legittima relazione con la cosa. Siffatto titolo non può essere rappresentato da un preteso «diritto di accesso alla natura», che si vuole consistere nella libertà di accedere, senza recare danni alle colture esistenti, nel fondo altrui che non sia chiuso, al fine di svolgervi attività escursionistiche, ricreative o simili. Un tale generalizzato diritto non sussiste, infatti, nell'ordinamento vigente, che si limita a prevedere, di volta in volta, nel codice civile ed in leggi speciali, particolari limiti alla proprietà per garantirne la funzione sociale, senza, svuotare, peraltro, di ogni contenuto la pienezza ed esclusività del diritto di proprietà. Pertanto, nel caso in cui taluno abusivamente acceda all'altrui proprietà, esula la responsabilità per danni cagionati dalle cose in custodia ex art. 2051 c.c., mentre sussisterebbe la generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., ove sia configurabile la esistenza sul fondo di un pericolo imprevedibile dal quale il proprietario dello stesso, che non lo abbia chiuso, non abbia adempiuto l'obbligo di preservare l'incolumità dei passanti. Peraltro, ove, come nella specie, la relativa domanda ex art. 2043 c.c., proposta nel giudizio di primo grado, non sia stata riproposta in appello, non è ammissibile nel giudizio per cassazione.