(massima n. 1)
Ai sensi dell'art. 1746 c.c. è imposto all'agente di tutelare gli interessi del preponente e di agire con lealtà e buona fede nell'esecuzione dell'incarico. Tuttavia, tale norma non impedisce all'agente — così come al subagente — vincolato da un contratto a tempo indeterminato suscettibile di disdetta, di ricercare soluzioni professionali alternative, che vengano in concreto a risultare pregiudizievoli per il preponente (come nel caso, non infrequente, dell'acquisizione di un mandato di agenzia da parte di un'impresa in concorrenza con l'originario preponente), se non impiega mezzi e modalità che siano di per sé qualificabili come scorretti, vuoi ai fini dell'acquisizione del nuovo incarico professionale, vuoi nell'esecuzione del medesimo, sulla base dei principi di carattere generale in materia contrattuale e, specificamente, di quelli di correttezza e di buona fede nell'esecuzione del rapporto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., ovvero delle regole in tema di concorrenza sleale tra imprenditori. Né, alla stregua di ciò, può ritenersi di per sé scorretto il comportamento di un subagente che, intenzionato a porre fine al rapporto in corso con l'agente, ne metta al corrente l'imprenditore preponente, offrendo l'occasione al medesimo di valutare le conseguenze di tale ipotesi ed a se stesso la possibilità di comunicare la propria eventuale disponibilità ad assumere un incarico diretto, sempreché non siano posti in essere mezzi di per sé scorretti, poiché, in difetto di precise pattuizioni in proposito, non è ravvisabile un obbligo di fedeltà in capo al subagente nei confronti dell'agente suo preponente che vieti iniziative di questo genere, compiute con il rispetto del principio generale della correttezza. (Nella specie, la S.C., enunciando il richiamato principio, ha rigettato il ricorso proposto dall'agente e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato escluso che il comportamento del subagente avesse comportato violazione di obblighi derivanti dal contratto di subagenzia, considerato che l'obbligo di cooperazione dell'agente ai fini del raggiungimento degli interessi del suo preponente non comprendeva l'obbligo di restare per sempre vincolato al medesimo, così come neanche il canone generale di correttezza e buona fede poteva impedire all'agente, in mancanza di specifiche clausole contrattuali, di cercare una sistemazione migliore ed eventualmente anche di proporre, nel caso del subagente, le proprie prestazioni direttamente al mandante del proprio preponente)