(massima n. 1)
Poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 c.p.p., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 dello stesso codice. (Nella fattispecie, relativa a ricorso diretto in Cassazione contro il ripristino della misura ordinata dal G.I.P., la Corte, ribadendo il principio affermato dalle Sezioni Unite anche con riferimento al caso specifico di ricorso "per saltum", ha precisato che non può essere rintracciata "ratione materiae" (misura cautelare) una "vis attractiva" del ricorso per cassazione rispetto alla procedura ex artt. 306 e 310 c.p.p.; e ciò in quanto la questione dedotta - inefficacia sopravvenuta per mancanza dell'interrogatorio - non risulta neppure dal fascicolo del ricorso concernente il provvedimento coercitivo).